27.01.2015

ACCADE SULLA COSTA – di Fabio Franciosi

Quando l'autismo diventa roba da adulti

È una buona abitudine, quella di confrontare le cose degli umani con ciò che esiste in natura. Trovo che sia fonte di ispirazione, che aiuti a trovare forza e a consolidare le radici delle proprie idee.

Viene a mente così che le scienze naturali hanno coniato ormai da tempo il concetto di biodiversità, molto interessante perché sostiene che in natura la diversità tra le specie viventi ha un ruolo chiave per la vita (dal greco bios) e per lo stato di salute degli ecosistemi sulla Terra. Come a dire che la vita si nutre di differenza.

Gli umani sono una fra le declinazioni di questa diversità, forse la specie che esprime in maniera più evidente le differenze al suo interno: temperamentali, psicologiche, neurologiche, culturali. È sempre più frequente in letteratura l’uso dei costrutti di neurodiversità (Singer, 1998) e broader autism phenotype o “fenotipo autistico in senso ampio” (Ozonoff, 2014), a sottolineare l’esistenza di possibilità alternative di organizzazione cerebrale e adattamento alla vita, supportata oramai da numerose evidenze neuroscientifiche. Diverse condizioni neurologiche, come quelle che portano le persone con autismo a sentire, percepire, pensare, regolarsi in modi diversi, appaiono dunque come risultato di una normale variazione nel genoma umano, dunque una forma di biodiversità.

Il punto è che questa frequente neuro-variazione viene percepita dagli umani con un pò di disagio, qualche volta come minaccia. In fondo non è proprio tutta colpa nostra. Il nostro cervello, per non andare in allerta, ha bisogno di prevedibilità, di cose conosciute, di comportamenti già visti. Quello bizzarro delle persone con autismo non rientra fra questi. Le nostre “antenne” di detezione dei pericoli orientano l’attenzione su ciò che si differenzia dalla norma. Verso un giovane che, per strada, “svolazza” con le mani, un pò di diffidenza la proviamo tutti. Per accogliere le differenze serve spazio, e curiosità, e cor-aggio, e un senso personale e radicato di fiducia.

Lo spettro della umanità, così come lo spettro della luce, è composto da un continuum di sfumature, da quelle più conosciute a quelle più atipiche. È un inno alla bellezza della varietà umana. Per molti invece diventa una condanna. La diversità neurologica, forma di umana variazione, diventa patologia (quindi da curare) nel momento in cui incontra le aspettative (alte e uniformanti) delle società così come le conosciamo oggi.

Persone con differenze neurologiche necessitano di riconoscimento, ma ancor di più hanno bisogno che la comunità umana si occupi del potenziamento delle loro risorse. Un pò questo accade, specie nei primi anni di vita, quelli dei trattamenti ambulatoriali. Ma è proprio durante la giovinezza, nel momento in cui c’è da mettere a frutto le abilità apprese da bambini, quando tutto intorno sboccia e la vita sembra essere ai blocchi di partenza, che succede qualcosa di speciale. Niente. Non è previsto impiego, occupazione, nemmeno un piccolo ruolo per i nuovi adulti con autismo in questa società. Non si trova niente, nemmeno a sforzarsi di cercare, nulla che abbia un senso che va oltre il piccolo progetto, il simpatico laboratorio. E allora qualcuno ha cominciato a ingegnarsi.

Nell’enciclopedia Treccani il termine autismo (dal greco autós, «sé stesso»)  indica l’autoreferenzialità, la negazione dell’altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà. Le specie viventi hanno bisogno di un ecosistema in cui vivere, che sia ricco di differenze e di connessioni e di stimoli di sviluppo. Va da sé quindi che una società che non utilizza tutte le sue risorse umane (e non le potenzia), è assimilabile ad un sistema autistico, autoreferente (oltre che poco coraggioso).

Arnia si colloca a sostegno dell’idea che sviluppare le differenze individuali dei suoi impiegati con autismo, mantenendo i fili della comunicazione con l’esterno, aumenti lo stato di ben-essere e di produttiva vitalità di tutti coloro che vi entrano a contatto. In primo luogo degli apprendisti con autismo e delle loro famiglie, che finalmente trovano qualcuno che investe in loro; in secondo luogo della comunità di appartenenza e degli interlocutori, aziende che decidono di ingaggiare il team  Arnia a supporto del proprio lavoro.

Accade questo in una piccola città della west coast italiana, Livorno, che la fantasia e lo spirito imprenditoriale sta trasformando in una delle comunità di riferimento per i giovani con autismo. Con una visione comune fra i quattro soci del progetto, quella di un avamposto per lo sviluppo specialistico delle qualità dei suoi apprendisti e l’intenzione di creare numerosi ponti con il mondo del lavoro reale. Questi giovani con autismo, per eccellenza disabilità della comunicazione e dell’interazione sociale, vengono allenati a fare, ma prima di tutto a stare, cioè a regolare il proprio comportamento nei contesti di lavoro. Così le sequenze di lavoro apprese, come già accade, risultano realmente spendibili sia nella comunità di appartenenza che a favore di realtà aziendali geograficamente distanti.

Sono già comparsi i primi “compagni di viaggio” di Arnia, la risposta delle famiglie e delle imprese non sta tardando ad arrivare, forse un segno che la sua filosofia incontra e contagia le menti di altri esseri umani. La bio-e-neuro-diversità è diventata una fonte che ispira e accompagna l’intero progetto, e le radici della sua mission appaiono solide.

Proteggere le risorse dell’umanità è un’assicurazione sulla vita per noi umani, allo stesso modo nutrire i talenti e dare forma e sbocco alle capacità individuali può rappresentare il valore aggiunto di una comunità vitale che prova a dare valore a ciò che, solo ad un occhio ingenuo, sembra non averlo.

 

Fabio Franciosi

psicologo e psicoterapeuta,

è fra i soci fondatori di Arnia S.r.l.

È una buona abitudine, quella di confrontare le cose degli umani con ciò che esiste in natura. Trovo che sia fonte di ispirazione, che aiuti a trovare forza e a consolidare le radici delle proprie idee.

Viene a mente così che le scienze naturali hanno coniato ormai da tempo il concetto di biodiversità, molto interessante perché sostiene che in natura la diversità tra le specie viventi ha un ruolo chiave per la vita (dal greco bios) e per lo stato di salute degli ecosistemi sulla Terra. Come a dire che la vita si nutre di differenza.

Gli umani sono una fra le declinazioni di questa diversità, forse la specie che esprime in maniera più evidente le differenze al suo interno: temperamentali, psicologiche, neurologiche, culturali. È sempre più frequente in letteratura l’uso dei costrutti di neurodiversità (Singer, 1998) e broader autism phenotype o “fenotipo autistico in senso ampio” (Ozonoff, 2014), a sottolineare l’esistenza di possibilità alternative di organizzazione cerebrale e adattamento alla vita, supportata oramai da numerose evidenze neuroscientifiche. Diverse condizioni neurologiche, come quelle che portano le persone con autismo a sentire, percepire, pensare, regolarsi in modi diversi, appaiono dunque come risultato di una normale variazione nel genoma umano, dunque una forma di biodiversità.

Il punto è che questa frequente neuro-variazione viene percepita dagli umani con un pò di disagio, qualche volta come minaccia. In fondo non è proprio tutta colpa nostra. Il nostro cervello, per non andare in allerta, ha bisogno di prevedibilità, di cose conosciute, di comportamenti già visti. Quello bizzarro delle persone con autismo non rientra fra questi. Le nostre “antenne” di detezione dei pericoli orientano l’attenzione su ciò che si differenzia dalla norma. Verso un giovane che, per strada, “svolazza” con le mani, un pò di diffidenza la proviamo tutti. Per accogliere le differenze serve spazio, e curiosità, e cor-aggio, e un senso personale e radicato di fiducia.

Lo spettro della umanità, così come lo spettro della luce, è composto da un continuum di sfumature, da quelle più conosciute a quelle più atipiche. È un inno alla bellezza della varietà umana. Per molti invece diventa una condanna. La diversità neurologica, forma di umana variazione, diventa patologia (quindi da curare) nel momento in cui incontra le aspettative (alte e uniformanti) delle società così come le conosciamo oggi.

Persone con differenze neurologiche necessitano di riconoscimento, ma ancor di più hanno bisogno che la comunità umana si occupi del potenziamento delle loro risorse. Un pò questo accade, specie nei primi anni di vita, quelli dei trattamenti ambulatoriali. Ma è proprio durante la giovinezza, nel momento in cui c’è da mettere a frutto le abilità apprese da bambini, quando tutto intorno sboccia e la vita sembra essere ai blocchi di partenza, che succede qualcosa di speciale. Niente. Non è previsto impiego, occupazione, nemmeno un piccolo ruolo per i nuovi adulti con autismo in questa società. Non si trova niente, nemmeno a sforzarsi di cercare, nulla che abbia un senso che va oltre il piccolo progetto, il simpatico laboratorio. E allora qualcuno ha cominciato a ingegnarsi.

Nell’enciclopedia Treccani il termine autismo (dal greco autós, «sé stesso»)  indica l’autoreferenzialità, la negazione dell’altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà. Le specie viventi hanno bisogno di un ecosistema in cui vivere, che sia ricco di differenze e di connessioni e di stimoli di sviluppo. Va da sé quindi che una società che non utilizza tutte le sue risorse umane (e non le potenzia), è assimilabile ad un sistema autistico, autoreferente (oltre che poco coraggioso).

Arnia si colloca a sostegno dell’idea che sviluppare le differenze individuali dei suoi impiegati con autismo, mantenendo i fili della comunicazione con l’esterno, aumenti lo stato di ben-essere e di produttiva vitalità di tutti coloro che vi entrano a contatto. In primo luogo degli apprendisti con autismo e delle loro famiglie, che finalmente trovano qualcuno che investe in loro; in secondo luogo della comunità di appartenenza e degli interlocutori, aziende che decidono di ingaggiare il team  Arnia a supporto del proprio lavoro.

Accade questo in una piccola città della west coast italiana, Livorno, che la fantasia e lo spirito imprenditoriale sta trasformando in una delle comunità di riferimento per i giovani con autismo. Con una visione comune fra i quattro soci del progetto, quella di un avamposto per lo sviluppo specialistico delle qualità dei suoi apprendisti e l’intenzione di creare numerosi ponti con il mondo del lavoro reale. Questi giovani con autismo, per eccellenza disabilità della comunicazione e dell’interazione sociale, vengono allenati a fare, ma prima di tutto a stare, cioè a regolare il proprio comportamento nei contesti di lavoro. Così le sequenze di lavoro apprese, come già accade, risultano realmente spendibili sia nella comunità di appartenenza che a favore di realtà aziendali geograficamente distanti.

Sono già comparsi i primi “compagni di viaggio” di Arnia, la risposta delle famiglie e delle imprese non sta tardando ad arrivare, forse un segno che la sua filosofia incontra e contagia le menti di altri esseri umani. La bio-e-neuro-diversità è diventata una fonte che ispira e accompagna l’intero progetto, e le radici della sua mission appaiono solide.

Proteggere le risorse dell’umanità è un’assicurazione sulla vita per noi umani, allo stesso modo nutrire i talenti e dare forma e sbocco alle capacità individuali può rappresentare il valore aggiunto di una comunità vitale che prova a dare valore a ciò che, solo ad un occhio ingenuo, sembra non averlo.

 

Fabio Franciosi

psicologo e psicoterapeuta,

è fra i soci fondatori di Arnia S.r.l.

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